Un fossile della fantascienza italiana
di Luciano Luciani
Poligrafo al limite della grafomania, cantante d’opera, librettista, cospiratore e patriota, Antonio Ghislanzoni (1824 – 1893) sembra riassumere in sé tutti gli elementi di un Ottocento retorico e appassionato, romantico e scapigliato, ardito nelle speranze politiche e sociali, modesto nei risultati pratici. Nato nel 1824 in provincia di Lecco, è figlio di un medico ammiratore di Napoleone e di sentimenti liberali. Di carattere indocile, nel 1841 viene espulso dal seminario. Termina gli studi liceali a Pavia e qui si iscrive ai corsi universitari di medicina, presto interrotti per seguire una diversa vocazione: quella di cantante. Baritono in modeste compagnie melodrammatiche tocca i teatri italiani e francesi, incontrando raramente il successo, più spesso “i fischi, le grida, le contumelie”. Partecipe della vicenda risorgimentale su posizioni mazziniane nel ’48-’49, è costretto all’esilio in Svizzera da cui rientra avventurosamente per prendere parte alla difesa della Repubblica Romana. Preso prigioniero dai francesi sotto le mura della Città Eterna è condotto in Corsica per trasferirsi a Parigi una volta liberato. Nel 1856 si scopre giornalista e scrittore: inizia così una frenetica attività letteraria che lo porta a collaborare con giornali e riviste, non tutte di eccelsa qualità. La critica giudica la sua produzione “ora dilettantesca ed estemporanea, ora sorvegliata e non priva di originalità” che passa con facilità dalla critica letteraria e musicale alla parodia, dal romanzo sociale al racconto comico, dalle memorie autobiografiche ai libretti per i melodrammi. Ed è la scapigliatura milanese, vivace e confusa, generosa e velleitaria il suo ambiente naturale. E le sue amicizia si chiamano Rovani e Cletto Arrighi, Praga e Boito, Tarchetti e Faldella, ovvero il cuore stesso dello sperimentalismo letterario e dello scontento politico postunitario. Ma anche un tale periodo di eccessi, letterari e non solo, è destinato a non durare a lungo. E così, Antonio Ghislanzoni, rivisitati gli eroici furori – artistici, politici, giornalistici – della prima parte della sua esistenza, a partire dalla fine degli anni Sessanta sceglie di vivere in piccole località della Lombardia profonda alla ricerca di quella tranquillità che gli era sempre mancata. Librettista di qualche fama (suo il testo drammatico per l’Aida verdiana), nel 1884 rielabora materiali di taglio avveniristico sull’onda dei successi editoriali di Jules Verne in Francia. Nasce così Abracadabra Storia dell’avvenire, uno dei primi fossili della fantascienza italiana, romanzo eccentrico e paradossale, appesantito, però, da troppi intenti didascalici, digressioni moraleggianti, intenti di palese, contingente, polemica politico-sociale. La storia: Abracadabra è un bizzarro personaggio venuto da poco ad abitare in un piccolo paese dell’Italia tardo ottocentesca. Dotto e benestante conquista le simpatie dei maggiorenti con una generosa oblazione e ne ascolta interessato le chiacchere: quelle del curato esprimono il punto di vista dei reazionari, il sindaco espone il punto di vista dei moderati e il farmacista si rivela un rivoluzionario radicale. Una sera, il misterioso personaggio rivela agli ospiti di essere sul punto di trovare la luce e comincia a esporre ai suoi sodali “la istoria dell’avvenire”. Da qui inizia la narrazione al vago sapore di fantapolitica in cui troviamo alcune gustose intuizioni: Abracadabra rivela che nel corso del secolo XX si sarebbe gradualmente formata un’Unione Europea, di cui però non avrebbe fatto parte la Gran Bretagna (Ghislanzoni è palesemente filofrancese!) perché, in una apocalittica Brexit, sommersa da una catastrofe oceanica, la lingua parlata dai cittadini europei, dopo il fallimento di un idioma comune, è il francese; Roma, capitale di due pregiudizi, quello cattolico e l’anticlericale, viene distrutta il 24 settembre 1888 e sostituita con Napoli; dai venti ai venticinque anni d’età, la coscrizione agraria sostituisce quella militare, perché il lavoro della terra rappresenta una fondamentale necessità dell’esistenza umana. Sono esonerati dal servizio agricolo solo gli “eletti dell’intelligenza”, ovvero gli intellettuali talentuosi e di chiara fama.
Per il resto, gondole volanti, treni che muovono tra le nuvole, piogge artificiali, gli straordinari progressi delle tecniche fotografiche, leggi alquanto cervellotiche e i progressi nella condizione della donna, non riescono a riscattare un plot ancora fortemente debitore al romanzo d’appendice ricco di colpi di scena e discutibili trovate: “il Ghislanzoni fantastica a caso senza la profetica illuminazione di un Giulio Verne o una qualsiasi preparazione scientifica”, scrive Edoardo Villa, l’ultimo dei suoi commentatori.
E tanto basti per un tale maldestro tentativo di letteratura del futuro.